Accordo UE – Giappone: nuove prospettive per l’export agroalimentare

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Nei giorni scorsi il premier giapponese Shinzo Abe, il presidente del Consiglio UE Donald Tusk e il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, hanno siglato l’accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e il Giappone. Grazie all’accordo le esportazioni agroalimentari comunitarie verso il Giappone potrebbero aumentare sensibilmente per i cibi trasformati e potrebbero aprirsi grandi possibilità di crescita e semplificazione per l’export nazionale.
L’accordo, che prende il nome di Jefta, acronimo che sta per Japan-EU Free Trade Agreement, sarà ora esaminato dal Parlamento Europeo e dall'organo legislativo del Giappone e, se approvato entro la fine dell’anno da entrambi i parlamenti, entrerà in vigore all’inizio del 2019.
Il Giappone è il quarto mercato in ordine di grandezza per le esportazioni agricole comunitarie, che hanno un valore venti volte superiore a quello delle esportazioni giapponesi nell'UE; il Paese, inoltre, si presenta come un mercato ‘ricco’, caratterizzato da consumatori molto esigenti, continuamente alla ricerca di prodotti di nicchia e di assoluta qualità e che hanno finora mostrato grande interesse nei confronti dell’eccellenza del Made in Italy agroalimentare. Il Giappone inoltre è il sesto maggior partner commerciale dell'Italia al di fuori dell'Unione Europea: l’Italia, infatti, esporta verso il Giappone beni per circa 6,6 miliardi di Euro, a fronte di importazioni per 4,2 miliardi. Tra i prodotti agroalimentari più esportati ci sono il vino, l’olio d’oliva, il pomodoro, la pasta e l’aceto. Dall’accordo deriveranno inoltre evidenti benefici per le esportazioni di:
- vini, che attualmente scontano dazi del 15%, i quali saranno eliminati;
- carni suine, che hanno alte barriere tariffarie che verranno sensibilmente ridotte;
- carni bovine, il cui import sarà favorito senza modificare le norme comunitarie sul trattamento con ormoni e sugli Ogm;
- formaggi, che hanno dazi al 30-40%.
Con il Jefta, infine, verranno riconosciute oltre duecento indicazioni geografiche europee indicate dagli Stati membri, di cui 45 italiane che rappresentano il 90% del valore dell’export agroalimentare delle denominazioni del nostro Paese, rendendo al contempo illegale la vendita di prodotti di imitazione; si tratta di un risultato positivo, anche se ci saremmo aspettati di più per il completo riconoscimento delle indicazioni geografiche.

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